Friday, September 28, 2012

SOTTO I CILIEGI IN FIORE

Hanami, picnic sotto i ciliegi in fiore 

A Kyoto era scoppiata la primavera; Yoko e Yumi ci avevano invitati ad andare con loro a fare un picnic sotto i ciliegi in fiore. L'attività è talmente popolare che esiste addirittura una parola specifica (hanami) per designarla. Un rito ricreativo che, come spesso accade in Giappone, non è privo di connotazioni religiose in senso lato, celebrato in onore della bellezza della natura, ma anche del dio dell'agricoltura. Come molti altri aspetti culturali, l'hanami fu importato dalla Cina nell'8° secolo dove lo si festeggiava sotto i pruni in fiore (ume) anch'essi introdotti dal continente, mentre i ciliegi (sakura) sono una specie autoctona. Avevano diritto all'hanami persino le cortigiane e le prostitute di Yoshiwara, il più famoso quartiere del piacere di Edo (Tokyo), le quali in occasione dell'hanami primaverile potevano recarsi sulle colline di Ueno per godersi un giorno di libertà. Una libertà transitoria come quella dei sakura

'I ciliegi, dopo una breve ed effimera fioritura, 'muoiono eroicamente' ecco perché noi li amiamo tanto', mi ha spiegato Yoko un giorno: grazie alle sue parole, d'improvviso tutto mi è apparso chiaro. Veniva così, con due parole, filosoficamente giustificata l'agitazione collettiva che, a livello nazionale, si diffondeva a macchia d'olio ogni giorno di più per la fioritura dei ciliegi. Alla televisione e sulla stampa venivano addirittura rilasciati continui aggiornamenti, della situazione, veri e propri 'bollettini' dei ciliegi, come da noi ci sono quelli della neve e del mare. Vedevo dappertutto depliants e cartine in cui i templi più famosi di Kyoto apparivano tutti punteggiati da silhouette rosa per indicare le zone con massima densità di sakura. Innumerevoli opere d'arte, poesie, dipinti e disegni hanno per secoli cercato di catturare l'hanami e il fuggevole momento della bellezza dei ciliegi (sakura) prima che cadano i celebrati petali. Il senso di struggimento della caducità, la bellezza della transitorietà e il fascino dell'incertezza (mono no aware), di solito tradotto in italiano come 'sentimento della impermanenza', sono una costante di tutta la cultura giapponese.

Armati di tutte le necessarie suppellettili, incluse le tipiche scatole quadrate per trasportare il pranzo (bento), con una breve passeggiata siamo arrivati al tempio Ninnaji dove, come intere generazioni di giapponesi, anche noi gaijin ('stranieri') siamo stati ammessi al sacro hanami sotto i ciliegi in fiore.

Per altre informazioni su questo argomento: 
da "L'anima nascosta del Giappone" di Marcella Croce (Marietti ed. Milano 2009)
www.marcellacroce.com       blog.marcellacroce.com
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Sunday, September 23, 2012

ACERI AUTUNNALI E FIORITURE PRIMAVERILI A KYOTO in concomitanza con VIAGGIO IN GIAPPONE 24 FEBBRAIO ORE 17.30 MUSEO DELLE MARIONETTE

ACERI AUTUNNALI E FIORITURE PRIMAVERILI A KYOTO 

Nel giardino si compendia mirabilmente l'estetica giapponese che si basa su tre parole chiave: sabi, shibui, wabi, le cui rispettive traduzioni nelle lingue occidentali ('severo', 'modesto', 'melanconico') sono prive delle connotazioni altamente positive che esse posseggono in giapponese.Altri concetti fondamentali sono l'armonia totale (wa) tra uomo, natura e universo, il mutuo rispetto e la venerazione che sono necessari nei rapporti umani, il concetto di umiltà personale (kei) verso tutte le cose, la pulizia e l'ordine (sei) che dovrebbero essere sempre presenti in ciò che ci circonda, nei nostri pensieri e nei nostri rapporti con gli altri. Scopo di tutti questi ideali è coltivare una mente calma in un ambiente sereno e riposante (jaku).

L'associazione fra giardino, cerimonia del tè, poesia e religione è fortissima: la parola niwa ('giardino') in origine era usata per indicare un luogo purificato dove adorare gli dei (kami) scintoisti indigeni. I padiglioni per il tè hanno sempre nomi poetici: Kasen-no-ma 'stanza per i poeti maestri', Shoken-den 'sala dove si invitano i saggi', Tekisei-ro 'padiglione per raccogliere le stelle'…

I giardini e tutta la cultura giapponese ruotano intorno al principio del 'cambiamento'; il giardino cambia di continuo adeguandosi alla stagione, e la bellezza effimera delle foglie autunnali si avvicenda con quella delle magnifiche (ma altrettanto effimere) fioriture primaverili. Grazie a una sapiente disposizione strategica delle specie, il giardino ha qualcosa da offrire in ogni parte dell'anno. In nessuna altra parte della terra il ciclo delle stagioni è vissuto con tale trasporto.

Per altre informazioni su questi argomenti:
"L'anima nascosta del Giappone" di Marcella Croce 
Marietti ed. Milano 2009
Questo il 5° appuntamento della serie MERAVIGLIE NATURALI
In questa serie sono stati già pubblicati i post:
Gran Canyon & Monument Valley 1978
Baia di Rio de Janeiro 1996 & 2009-11
Fauna del Pantanal (Brasile) 2010
Cratere del vulcano Stromboli in eruzione 1980
I prossimi post di questa serie saranno: 
Fauna del cratere dello Ngorongoro (Tanzania) 1984
Massiccio Tassili Hoggar (Sahara algerino) 1985
Isole Galapagos (Ecuador) 1995
Cascate di Iguaçu (Brasile & Argentina) 1996
Baia di Halong (Vietnam) 1999 & 2009
Ghiacciaio Perito Moreno (Patagonia argentina) 2012
TUTTI LUOGHI CHE LASCIANO A BOCCA APERTA PERCHE' LA NATURA è (o è stata) AL LAVORO, POTENTE E INDESCRIVIBILE
La lista non è esaustiva né completa, né segue un ordine di bellezza
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Tuesday, September 18, 2012

LA CULTURA ISLAMICA TRA ORIENTE E OCCIDENTE in previsione del 1° incontro della serie SCRITTURE DEL MONDO il 27 gennaio 2014 ore 17.30 presso il Museo delle Marionette Trav. Via Butera Palermo

Negli Stati Uniti chiamano corn belt una larga striscia di territorio americano che è uniformemente coltivata a granoturco. Dalla Bosnia europea fino al Rajastan indiano, si stende abbastanza compatta una grossa fascia per la quale potrebbero essere proposti vari nomi (carpet belt? yogurt belt? turquoise belt?), tutti relativi a una straordinaria cultura cui l'Islam, dall'arte dei tappeti a quella dei tessuti, dagli intarsi alle miniature, dagli smalti alle calligrafie, ha fornito saldo denominatore comune. Legni, stucchi, vetri, bronzi, ottoni: tutti i materiali esistenti sono stati usati, con una netta predilezione per il colore turchese nelle ceramiche. Anche la cultura materiale presenta alcune uniformità particolari: la tradizione dello yogurt ad esempio, usato ovunque in mille modi e ovunque squisito.

Una seconda fascia, sorella gemella (ma non identica) della prima, inizia nella parte meridionale della penisola iberica (Algarve e Andalusia), e attraversando il Marocco e tutto il Maghreb ('l'occidente') nordafricano, si riunisce alla prima in Siria. Non è una monotona monocultura la principale caratteristica di queste strisce lunghe migliaia di chilometri, ma una koiné culturale senza quasi soluzione di continuità, cui l'Iran ha fornito fondamentali contributi, specie nell'architettura. La cupola e l'esedra (eiwan) ne sono i segni più evidenti, l'arco persiano a quattro fuochi il marchio più noto.

Nella sua 'Introduzione alla Storia', opera fondamentale compilata in Marocco, Ibn Kahldun nel 14° secolo affermava che 'le scienze e le arti sono il risultato dell'abilità dell'uomo a pensare, con la quale egli si distingue dagli animali... la tendenza dell'arte alla raffinatezza e la qualità dello scopo perseguito per ottemperare alle richieste di lusso e di ricchezza, corrispondono alla civiltà di una determinata nazione'. Le parole di Kahldun, filosofo e storico al servizio del sultano di Fez, si attagliano perfettamente a tutto il complesso dell'arte islamica e alle sue sofisticate decorazioni. Uno splendido percorso in cui Asia centrale e India del Nord sono le estreme, fondamentali tappe.

Per altre informazioni su questi argomenti:
"Oltre il chador - Iran in bianco in nero" di Marcella Croce
Medusa ed. Milano 2006
1° premio Il Paese delle Donne Roma 2007

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Thursday, September 13, 2012

IL CRATERE DELLO STROMBOLI IN ERUZIONE - MERAVIGLIE NATURALI - 1980


IL CRATERE DELLO STROMBOLI IN ERUZIONE 1980
  
Benedetta, la cameriera dell'hotel l'aveva detto subito: "Io, dassupra? Ecchì c'ha gghiri a fari?",  mostrando come molti locali sano disprezzo e timore riverenziale per Iddu, il gigante che li sovrasta da sempre. Una delle scene più celebri del film Stromboli terra di Dio, che Roberto Rossellini girò con Ingrid Bergman nel 1949, mostra gli isolani, laceri e impoveriti oltre ogni immaginazione, che scrutano atterriti dalle loro barche le tremende ire del vulcano. Le parole di Benedetta bastarono a renderci ancora più curiosi dello Stromboli (dal greco Strongyle "trottola"), il vulcano più attivo d'Europa, noto come "faro del Mediterraneo" fin dai tempi delle prime civiltà che nella preistoria frequentavano assiduamente le isole Eolie in cerca della preziosa ossidiana. Volevamo vedere da vicino con i nostri occhi il responsabile dei continui boati e della sabbia nera che trovavamo ogni mattina depositata sul nostro balconcino. Una sera della lontana estate 1980, piano piano ci siamo inerpicati sui 926 metri del maestoso monte che sprofonda per altri 1700 metri giù in mezzo al mare; eravamo giovani, e ancora lontani erano i giorni in cui sarebbe divenuta obbligatoria la presenza di una guida. Per non scendere al buio attraverso i cosiddetti "sabbioni", avevamo deciso di rimanere lassù tutta la notte, o almeno fino all'alba, dormendo nel sacco a pelo (o meglio cercando di dormire), e poi riscendendo per lo stesso sentiero che costeggia l'imponente Sciara (in arabo "strada") del Fuoco.

In quest'isola straordinaria, dove anche le lucertole sono nere ("esse si so' vulcanizzate" avevamo sentito dire a dei turisti con forte accento napoletano), sembra di vivere un sogno reso ancora più irreale dall'assenza delle macchine; il paesaggio culturale, cioè umanizzato, graffia appena due piccole porzioni del grande cono vulcanico. Nella salita diventava più flebile il rombo del mare, ed erano sempre più piccole le case bianche dell'incantevole villaggio appeso alle pendici del vulcano. Alla luce della luna, gli occhi ancora pieni dei deliziosi giardinetti con le strepitose bouganville, dei sedili con le mattonelle di ceramica, dei pilastri (pilieri) fra le pergole, vedevamo scendere la notte. Oltrepassati i campi abbandonati un tempo fertili delle colture che rendevano l'isola quasi autosufficiente, erano ormai lontanissime le rade luci delle case che a Stromboli sostituiscono l'illuminazione stradale. Una reliquia dei lunghi millenni bui in cui la vita sull'isola non conosceva luce elettrica: Ginostra, aggrappata all'altra parte dell'isola senza averne mai veramente fatto parte, ne è stata priva fino agli anni '60. Solo il faro di Strombolicchio continuava indifferente a marcare il tempo solcando il buio della notte.

Diventavano invece sempre più vicini gli spruzzi di fuoco del cratere, che avevamo avvistato in lontananza dal cosiddetto "osservatorio", fino a quando fummo davanti, anzi leggermente sopra, il cratere dove era in scena l'eruzione, che da Stromboli prende appunto il nome di stromboliana, caratterizzata a intervalli regolari da fontane di lava che raggiungono centinaia di metri di altezza e dal lancio di lapilli e bombe vulcaniche infuocate che ricadono pesantemente nella caldera (vedi foto di Antonio Paulo da Silva jr.). Nel nostro caso, dopo circa un'ora di intenso spettacolo, il vento è mutato, siamo stati circondati da gas e fumo, e non abbiamo visto più nulla. Sotto di noi la terra, continuamente scossa da grandi sussulti, emanava calore. Non tutti gli arditi sono fortunati, nel senso che le condizioni atmosferiche possono all'improvviso mutare e impedire la visione, ma lui, il Signor Vulcano, non manca mai all'appuntamento, il suo dovere ancestrale lo fa sempre, nessun Ente del Turismo del mondo è mai riuscito a orchestrare uno spettacolo così eccezionale e così puntuale. Dopo la chiusura del sentiero per motivi di sicurezza, è stato da qualche anno aperto un  nuovo percorso alternativo, ma uguale è l'emozione di vedere le forze della natura al lavoro a pieno ritmo nel cratere, uno dei pochi luoghi in Europa senza tracce di presenza umana, in inglese si chiama wilderness, parola intraducibile in italiano, forse proprio perché da noi esiste solo qui. 
(pubblicato dalla Repubblica di Palermo il 28 agosto 2012)

In questa serie MERAVIGLIE NATURALI sono stati già pubblicati i post:
Gran Canyon & Monument Valley 1978
Baia di Rio de Janeiro 1996 & 2009-11
Fauna del Pantanal (Brasile) 2010
I prossimi post di questa serie saranno: 
Fauna del cratere dello Ngorongoro (Tanzania) 1984
Massiccio Tassili Hoggar (Sahara algerino) 1985
Isole Galapagos (Ecuador) 1995
Cascate di Iguaçu (Brasile & Argentina) 1996
Baia di Halong (Vietnam) 1999 & 2009
Aceri in autunno e fioriture primaverili a Kyoto (Giappone) 2005-2006 & 2010
Ghiacciaio Perito Moreno (Patagonia argentina) 2012
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Tuesday, September 11, 2012

FRUTTI DI MARE E ALGHE (Cibi sconosciuti di Sicilia)

Conchiglie di ostriche e patelle, insieme con ossa di pesci, resti fossili di pasti di epoca mesolitica, sono stati rinvenuti nel suolo della grotta dell'Uzzo, oggi inclusa nella Riserva Naturale dello Zingaro presso Castellammare del Golfo. Tutto l'universo dei frutti di mare è stato per molto tempo appannaggio dei poveri che, come nel Paleolitico, pescavano e raccoglievano presso le rive tutto ciò che era possibile (telline, patelle, granchi, ricci). Nella cucina siciliana non c'è quasi traccia della varietà di frutti di mare di cui si gloria la gastronomia delle città dell'Adriatico, le cui acque sono a basso contenuto salino e ricche di plancton e di detriti fluviali. Le acque siciliane, ancorché inquinate, sono troppo limpide e povere di nutrienti per mantenere queste faune di filtratori.
Sono d'importazione le cozze, le vongole e la maggior parte dei frutti di mare in vendita in Sicilia. A Palermo l'unica eccezione sono i ricci di mare, di cui i palermitani, come gli antichi romani molti secoli or sono, sono ghiottissimi. I ricci sottratti al mare non bastano comunque a soddisfare il mercato siciliano, e se ne sta tentando l'allevamento, che peraltro è quasi impossibile. Nel Mare Jonio la situazione è più favorevole, e al mercato della Piscarìa di Catania si possono trovare i fasolari (Callista chione), le cozzole (telline o Donax trunculus), le conche (chiocciola o lumaca di mare) e i muccuna o bulli imperiali (murici o Murex brandaris), gli stessi che i fenici trituravano in grande quantità per ottenere la preziosa porpora (phoenix) da cui presero nome.
Nel litorale ionico, quando se ne trovano ancora, dato che negli ultimi venti anni sono stati sterminati, si raccolgono gli occhi 'i vòi, ("occhi di buoi" o "orecchie di mare", Haliotis lamellosa), detti abalone nella costa occidentali degli Stati Uniti, dove sono giganteschi. Tra le specie conosciute dai pescatori soprattutto della costa ionica e occasionalmente usate anche dal punto di vista alimentare si citano: l'ogghiu (olio) a mare (Anemonia sulcata o anemone di mare), il cannolicchio (Solen marginatus o cannello), la cuppa liscia (Glycimeris glycimeris o piè d'asino), la cròcchiula di San Iapicu (Pecten jacobeus o conchiglia di San Giacomo), le minni di vacca (uovo di mare), la cròcchiula cutugnina, ovvero il Cardium edule usato per decorare le ceramiche del Neolitico, dette appunto cardiali. Sono molto apprezzate a Catania le alghe marine brune dalle foglie un po' ricce e reticolate, anch'esse in vendita alla Piscarìa. Le alghe crescono nelle acque a volte non proprio pulite delle coste rocciose, e si possono ancora trovare nei ristoranti di Aci Trezza e dintorni: sono i due tipi di mauri (vedi foto - Gigartina acicularis e Hypnea musciformis), che si mangiano crudi e tagliati a pezzetti nell'insalata di mare, e l'ulva, detta lattuga di mare a Napoli dove la friggono in pastella. Non risulta invece che i siciliani si siano mai nutriti di oloturie e di meduse, che in diversi paesi asiatici sono ricercate per essere essiccate o cucinate in vari modi.
Molto ricercati in Sicilia sono i crostacei e i molluschi: calamari, totani, polpi (maiolini con due file di ventose e moscardini con una sola fila), gamberi e gamberoni imperiali, che solo a mille metri di profondità e con potenti reti a strascico i pescatori riescono (spesso ahimè illegalmente) a strappare al fondo del mare. A Pantelleria la cucina locale è arricchita dai migroci, particolari gamberi della scogliera. 

Per altre informazioni su questi argomenti vedi il post:
http://blog.marcellacroce.com/2012/08/zucca-zucchine-e-fegato-dei-settecannoli.html
"Guida ai sapori perduti - Storie e segreti del cibo siciliano"
di Marcella Croce (Kalòs ed. Palermo 2a edizione 2012)
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Saturday, September 8, 2012

IL NATALE DEGLI SCIITI

Il Natale degli sciiti (in previsione del 1° incontro della serie SCRITTURE DEL MONDO
Shah-in-shah di R- Kapuscinski 27 gennaio 2014 ore 18 al Museo delle Marionette trav. Via Butera Palermo

Sembrava di essere in Italia nei giorni precedenti il Natale. A metà
del mese lunare di Shaban, le città iraniane si sono illuminate di
luci colorate intermittenti, e il traffico è diventato più che mai
frenetico: erano tutti in giro, non a comprare regali, ma a
festeggiare l'anniversario della nascita del loro amato 12° imam, il Mahdi,
scomparso (o meglio dileguatosi) nel 874 all'età di 13 anni. Per altri
sciiti la successione dei leader spirituali è completamente diversa:
Ismaele, figlio del sesto imam Jafar, morì prima del padre, una
circostanza che metteva in dubbio l'infallibilità e quindi l'autorità
stessa di Jafar, che l'aveva designato successore senza avere saputo
prevedere la sua fine. Mentre la maggioranza degli sciiti, anche se
malvolentieri, accettò che la successione andasse agli altri figli di
Jafar, gli Ismaeliti non furono d'accordo e rispettano tuttora
l'autorità dei discendenti di Ismaele. La serie continua ancora con
l'Agha Khan che è il loro imam vivente, 49° della serie.

Gli sciiti duodecimani spesso sfoggiavano un turbante con dodici
pieghe per mostrare la loro appartenenza religiosa. Il numero dodici è
particolarmente importante per loro, e ricorre spesso anche nelle
splendide moschee persiane che, con i loro quattro grandi eiwan, sono
sempre una trasposizione architettonica dei testi sacri dell'Islam. Ad
esempio, nella moschea dell'Imam ad Isfahan (definita 'una foresta di
simboli sciiti' da Henri Stierlin), il rettangolo della corte è
costruito con due triangoli rettangoli di Pitagora le cui proporzioni,
come è noto, sono 4+3 (cateti) +5 (ipotenusa)=12.

Per l'anniversario della nascita (tavallod) del Mahdi, come spesso
accade in Iran, nelle strade si offrono per voto (nasri) enormi
quantità di cibo a tutti i passanti, a parenti e vicini di casa, e
soprattutto ai più bisognosi. Per gli sciiti, famosi per i loro
tenebrosi ed inquietanti rituali di lutto, questa è una delle
pochissime feste caratterizzate dalla gioia. Prima della rivoluzione
del 1979, si faceva festa anche per l'anniversario della morte
dell'odiato califfo sunnita Omar che, rappresentato da un fantoccio,
veniva bruciato nella pubblica piazza. La festa era organizzata
esclusivamente da e per le donne che cantavano e ballavano per
celebrare l'avvenimento. Per l'occasione si vestivano sempre di rosso,
un tempo colore della gioia in Iran, ma scomparso dopo la rivoluzione
del '79 che ha bandito tutti i colori vivaci imponendo universalmente
a tutte le donne di vestire di nero, o di altri colori poco
appariscenti.

Khomeini, in una nuova visione ecumenica dell'Islam, proibì questo
tipo di festeggiamento, che tanto ricorda le vecchie ostilità fra
cattolici e protestanti, riuscendo ad inculcare il concetto che tutti
i musulmani devono essere comunque considerati fratelli. I sunniti (da
sunna 'tradizione'), sono più restii a cambiare le regole e non hanno
mai condiviso la tendenza degli sciiti alla venerazione e
santificazione degli imam, per loro decisamente idolatrica. Le
dottrine degli sciiti sono comunque riconosciute come la quinta scuola
giuridica di diritto coranico, che dal sesto imam prende il nome di
Jafar. Ciascuna delle altre quattro (hanafita, malikita, safiita e
hanbalita) corrispondono a diversi gradi di rigore nell'applicazione
dei precetti religiosi.

Per ulteriori informazioni su questi argomenti:
http://blog.marcellacroce.com/2012/08/sunniti-e-sciiti-in-previsione-del.html
http://blog.marcellacroce.com/2012/08/eid-e-fetr-lo-spirito-del-ramadan.html
da  "Oltre il chador -Iran in bianco e nero" di Marcella Croce
Medusa ed. Milano 2006 1° premio Il Paese delle Donne Roma 2007

Marcella       www.marcellacroce.com      blog.marcellacroce.com
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Sunday, September 2, 2012

FAUNA DEL PANTANAL (Meraviglie naturali del mondo)

Fauna del Pantanal in previsione della proiezione di sabato 8
settembre ore 19.30 BRASILE di ANDREA MATRANGA
Centro Studi AnM Viale Orfeo 20 Mondello Palermo

Grande più di mezza Italia, il Pantanal è la più grande zona umida del
mondo, e ospita una delle maggiori concentrazioni di fauna selvatica
esistente. Come dice il suo nome, è completamente coperto dall'acqua
in alcuni mesi dell'anno, i mesi migliori per visitarlo sono quindi
quelli secchi che corrispondono alla nostra estate. Gran parte del
territorio è occupata da enormi fazende, dove i cowboys locali
(vaqueiros) si occupano dell'allevamento dei bovini. Tutto il
Sudamerica è caratterizzato da enormi proprietà terriere, la legge
brasiliana ha cercato di limitare questa concentrazione di ricchezza
stabilendo che nessun fazendero possa essere proprietario di più di 99
fazende indipendentemente dalla loro grandezza. Per non intaccare il
grande patrimonio ambientale della regione, la legge del Mato Grosso
do Sul stabilisce che i fazenderos debbano lasciare allo stato
naturale almeno il 20% del territorio di loro proprietà.

Nel 1829 la famiglia Coelho si trasferì dallo stato del Minas Gerais
nel Mato Grosso Do Sul, dove il capostipite Laucidio iniziò la sua
fortuna comprando bestiame e acquistando terra. Quattordici anni fa i
Coelho hanno aperto ai turisti la fazenda San Francisco che possiede
3500 capi di bestiame e ben 14800 ettari, il 40% dei quali sono
riserva naturale. I turisti (al massimo una quarantina) alloggiano in
stanze spartane ma confortevoli, e usufruiscono di tre escursioni
naturalistiche al giorno, effettuate oltre che a piedi, con una
varietà di mezzi di trasporto: barca, canoa, cavallo, bicicletta e uno
speciale veicolo appositamente realizzato per safari fotografici.
Roberta Coelho, 29 anni, dopo studi in biologia, amministrazione e
turismo, è manager full time (e all'occorrenza anche inserviente!)
della fazenda familiare, e guida spesso personalmente le escursioni.
Incredibilmente abbondante è la fauna presente sul territorio, in
gran parte endemica del Sudamerica: capibara (il più grande roditore
vivente), armadilli, formichieri, e una incredibile quantità e varietà
di uccelli. La notte risuona dei richiami di gufi e civette, mentre si
aggirano discretamente gli orsetti lavatori (o procioni), e con un po'
di fortuna si possono avvistare giaguari e ocelot. Il fiume è
affollatissimo dei voraci pesci piranha e di jacarè (caimani).

Non lontano dal Pantanal, Bonito è l'ultima arrivata fra le zone di
interesse turistico in Brasile. La cittadina è al centro di una
notevolissima serie di "attrazioni" tra le quali vanno segnalati il
Buraco das Araras (vedi foto di Andrea Matranga), un grandissimo
"buco" naturale di circa 500 m. di circonferenza e 80 di profondità
dove alberga una nutrita colonia di colorati pappagalli Arara, la
Gruta Azul nel cui fondo brilla un lago azzurrissimo, e alcuni dei
fiumi con le acque più limpide del mondo: lasciandosi portare dalla
leggera corrente e galleggiando in superficie (flutuação), si possono
osservare da vicino e fotografare molti coloratissimi pesci. Nelle
graziose pensioni (pousadas) e nei ristoranti di Bonito, è offerta la
comida pantaneira, caratterizzata dalle carni di capivara e caimano,
allevate di proposito e quindi ecologicamente corrette. Tutta la zona
è abitata anche da varie etnie indigene tra le quali la più numerosa è
quella dei Terema.

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