Conchiglie di ostriche e patelle, insieme con ossa di pesci, resti fossili di pasti di epoca mesolitica, sono stati rinvenuti nel suolo della grotta dell'Uzzo, oggi inclusa nella Riserva Naturale dello Zingaro presso Castellammare del Golfo. Tutto l'universo dei frutti di mare è stato per molto tempo appannaggio dei poveri che, come nel Paleolitico, pescavano e raccoglievano presso le rive tutto ciò che era possibile (telline, patelle, granchi, ricci). Nella cucina siciliana non c'è quasi traccia della varietà di frutti di mare di cui si gloria la gastronomia delle città dell'Adriatico, le cui acque sono a basso contenuto salino e ricche di plancton e di detriti fluviali. Le acque siciliane, ancorché inquinate, sono troppo limpide e povere di nutrienti per mantenere queste faune di filtratori.
Sono d'importazione le cozze, le vongole e la maggior parte dei frutti di mare in vendita in Sicilia. A Palermo l'unica eccezione sono i ricci di mare, di cui i palermitani, come gli antichi romani molti secoli or sono, sono ghiottissimi. I ricci sottratti al mare non bastano comunque a soddisfare il mercato siciliano, e se ne sta tentando l'allevamento, che peraltro è quasi impossibile. Nel Mare Jonio la situazione è più favorevole, e al mercato della Piscarìa di Catania si possono trovare i fasolari (Callista chione), le cozzole (telline o Donax trunculus), le conche (chiocciola o lumaca di mare) e i muccuna o bulli imperiali (murici o Murex brandaris), gli stessi che i fenici trituravano in grande quantità per ottenere la preziosa porpora (phoenix) da cui presero nome.
Nel litorale ionico, quando se ne trovano ancora, dato che negli ultimi venti anni sono stati sterminati, si raccolgono gli occhi 'i vòi, ("occhi di buoi" o "orecchie di mare", Haliotis lamellosa), detti abalone nella costa occidentali degli Stati Uniti, dove sono giganteschi. Tra le specie conosciute dai pescatori soprattutto della costa ionica e occasionalmente usate anche dal punto di vista alimentare si citano: l'ogghiu (olio) a mare (Anemonia sulcata o anemone di mare), il cannolicchio (Solen marginatus o cannello), la cuppa liscia (Glycimeris glycimeris o piè d'asino), la cròcchiula di San Iapicu (Pecten jacobeus o conchiglia di San Giacomo), le minni di vacca (uovo di mare), la cròcchiula cutugnina, ovvero il Cardium edule usato per decorare le ceramiche del Neolitico, dette appunto cardiali. Sono molto apprezzate a Catania le alghe marine brune dalle foglie un po' ricce e reticolate, anch'esse in vendita alla Piscarìa. Le alghe crescono nelle acque a volte non proprio pulite delle coste rocciose, e si possono ancora trovare nei ristoranti di Aci Trezza e dintorni: sono i due tipi di mauri (vedi foto - Gigartina acicularis e Hypnea musciformis), che si mangiano crudi e tagliati a pezzetti nell'insalata di mare, e l'ulva, detta lattuga di mare a Napoli dove la friggono in pastella. Non risulta invece che i siciliani si siano mai nutriti di oloturie e di meduse, che in diversi paesi asiatici sono ricercate per essere essiccate o cucinate in vari modi.
Molto ricercati in Sicilia sono i crostacei e i molluschi: calamari, totani, polpi (maiolini con due file di ventose e moscardini con una sola fila), gamberi e gamberoni imperiali, che solo a mille metri di profondità e con potenti reti a strascico i pescatori riescono (spesso ahimè illegalmente) a strappare al fondo del mare. A Pantelleria la cucina locale è arricchita dai migroci, particolari gamberi della scogliera.
Per altre informazioni su questi argomenti vedi il post:
http://blog.marcellacroce.com/2012/08/zucca-zucchine-e-fegato-dei-settecannoli.html
"Guida ai sapori perduti - Storie e segreti del cibo siciliano"
di Marcella Croce (Kalòs ed. Palermo 2a edizione 2012)
marcellacroce@gmail.com +39 340 6678233
Responsabile Centro Studi Avventure nel Mondo Palermo
http://www.angolodellavventura.com/regioni/sicilia/palermo/centro_studi.html
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