Saturday, October 27, 2012

RITI TRADIZIONALI A KYOTO in concomitanza con l'INCONTRO "Il padiglione d'Oro" di Yukio Mishima presso il Museo delle Marionette lunedì 24 febbraio 2014 ore 17.30

In un ipotetico elenco delle grandi mete spirituali del mondo, pochissimi occidentali includerebbero il Giappone. Eppure, proprio qui, vanno cercati alcuni dei templi più incantevoli del mondo, e non molti si rendono conto che tutto in Giappone sconfina sempre nel territorio del sacro e che nessuno degli aspetti più famosi della cultura giapponese, dalla cerimonia del tè al giardino, dal teatro Noh all'ikebana, e persino alle arti marziali e al sumo, è esente da una fortissima carica spirituale. 
I giapponesi non ritengono di dovere 'scegliere' una religione, e la maggior parte della gente si muove con disinvoltura fra lo scintoismo indigeno e un buddismo che ha ricevuto profonde modifiche rispetto a quello importato dal continente nel lontano 6° secolo. 
Esistono svariate tipologie di feste (matsuri). Nell'infinita trasformazione che secondo le credenze buddiste, genera, anima e governa il mondo, il fuoco riveste un ruolo fondamentale. Le preghiere, pazientemente scritte su tavolette di legno (ema), arrivano più velocemente a destinazione se bruciate. Molte feste primaverili celebrano la rinascita della vegetazione dopo il lungo letargo invernale, spesso interpretata come la vittoria del bene sulle forze del male. In propiziazione di un buon raccolto di riso, vengono offerti agli dèi (kami) cibi, fiori, oggetti votivi di ogni tipo.
Le feste religiose (matsuri) giapponesi hanno origini antichissime, a Kyoto alcune vengono celebrate quasi ininterrottamente da più di mille anni. Esistono svariate tipologie di matsuri: alcune prevedono gare di tiro con l'arco rituale (kyudo), e altre hanno il precipuo scopo di rievocare il periodo Heian in cui la città era capitale (794-1185). Nel cuore dell'inverno gruppi di devoti si ritirano dal mondo per un periodo di pratiche ascetiche che in genere si conclude con docce fredde di purificazione e danze dei nudi (hadaka odori). Molte feste primaverili celebrano la rinascita della vegetazione dopo il lungo letargo invernale, spesso interpretata come la vittoria del bene sulle forze del male. In propiziazione di un buon raccolto di riso, vengono offerti agli dèi (kami) cibi, fiori, oggetti votivi di ogni tipo. Alcune delle feste più famose prevedono processioni alle quali assistono folle strabocchevoli. Tutti i ceti sociali, bambini, famiglie, vecchi, ragazze belle come i fiori delle loro coloratissime yukata (kimono estivi in cotone o lino), vanno per strada, mentre i palanchini decorati (mikoshi) vengono tirati o portati sulle spalle da centinaia di uomini seminudi che, abbandonata la tradizionale riservatezza nipponica, corrono, urlano, saltano, sudano. Ad un segnale invisibile e misterioso, i portatori si arrestano all'improvviso, si siedono tutti per terra accanto ai mikoshi e lasciano che il prete scintoista (kannushi) si riappropri dello spirito degli dèi (kami)

Marcella
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Per altre informazioni sulla cultura giapponese:
http://blog.marcellacroce.com/2012/10/lanima-nascosta-del-giappone-in.html
http://blog.marcellacroce.com/2012/09/sotto-i-ciliegi-in-fiore-in-previsione.html
http://blog.marcellacroce.com/2012/09/aceri-autunnali-e-fioriture-primaverili.html

Monday, October 8, 2012

L'ANIMA NASCOSTA DEL GIAPPONE in concomitanza con la presentazione del libro di Marcella Croce alla Fiera delle Parole venerdì 12 ottobre ore 18 alla libreria Feltrinelli di Padova

"Tutto in Giappone sconfina sempre nel territorio del sacro. Nell'infinita trasformazione che secondo le credenze buddiste, genera, anima e governa il mondo, il fuoco riveste un ruolo fondamentale. Le preghiere, pazientemente scritte su tavolette di legno (ema), arrivano più velocemente a destinazione se bruciate: nel corso della festa annuale del tempio Seruyji di Arashiyama, se ne bruciano molte migliaia. Nella visione buddista del mondo, per antonomasia ispirata a un rigoroso rispetto dell'ambiente ante litteram, c'è fondamentale unità fra tutti gli esseri: anche gli animali e gli oggetti devono poter ritornare all'armonia del ciclo universale della natura.

 Lo spirito del Giappone, più che spiegato o studiato, va semplicemente 'sentito', assorbito. Ricopiando il sutra nell'atmosfera rarefatta del tempio, l'unico rumore che avvertivo era il battere implacabile della pioggia che innaffiava naturalmente i celebrati muschi, e ad ogni tratto del pennello affondavo lentamente sempre più nel terreno inesprimibile del sacro. La pioggia continuava incessante; invece che rovinare la nostra passeggiata nel giardino, l'aveva resa ancora più suggestiva. Scendendo una dozzina di scalini, mi sono ritrovata nel buio totale di un ambiente sotterraneo, che intendeva richiamare il ventre materno, che è anche il ventre della terra, e in pochi minuti ciascun visitatore, che lo volesse o no, diventava pellegrino e avvertiva totalmente cambiata la propria dimensione."      
     
da L'anima nascosta del Giappone di Marcella Croce       Marietti editore Milano 2009

Per altre informazioni sulla cultura giapponese:
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Marcella
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Friday, September 28, 2012

SOTTO I CILIEGI IN FIORE

Hanami, picnic sotto i ciliegi in fiore 

A Kyoto era scoppiata la primavera; Yoko e Yumi ci avevano invitati ad andare con loro a fare un picnic sotto i ciliegi in fiore. L'attività è talmente popolare che esiste addirittura una parola specifica (hanami) per designarla. Un rito ricreativo che, come spesso accade in Giappone, non è privo di connotazioni religiose in senso lato, celebrato in onore della bellezza della natura, ma anche del dio dell'agricoltura. Come molti altri aspetti culturali, l'hanami fu importato dalla Cina nell'8° secolo dove lo si festeggiava sotto i pruni in fiore (ume) anch'essi introdotti dal continente, mentre i ciliegi (sakura) sono una specie autoctona. Avevano diritto all'hanami persino le cortigiane e le prostitute di Yoshiwara, il più famoso quartiere del piacere di Edo (Tokyo), le quali in occasione dell'hanami primaverile potevano recarsi sulle colline di Ueno per godersi un giorno di libertà. Una libertà transitoria come quella dei sakura

'I ciliegi, dopo una breve ed effimera fioritura, 'muoiono eroicamente' ecco perché noi li amiamo tanto', mi ha spiegato Yoko un giorno: grazie alle sue parole, d'improvviso tutto mi è apparso chiaro. Veniva così, con due parole, filosoficamente giustificata l'agitazione collettiva che, a livello nazionale, si diffondeva a macchia d'olio ogni giorno di più per la fioritura dei ciliegi. Alla televisione e sulla stampa venivano addirittura rilasciati continui aggiornamenti, della situazione, veri e propri 'bollettini' dei ciliegi, come da noi ci sono quelli della neve e del mare. Vedevo dappertutto depliants e cartine in cui i templi più famosi di Kyoto apparivano tutti punteggiati da silhouette rosa per indicare le zone con massima densità di sakura. Innumerevoli opere d'arte, poesie, dipinti e disegni hanno per secoli cercato di catturare l'hanami e il fuggevole momento della bellezza dei ciliegi (sakura) prima che cadano i celebrati petali. Il senso di struggimento della caducità, la bellezza della transitorietà e il fascino dell'incertezza (mono no aware), di solito tradotto in italiano come 'sentimento della impermanenza', sono una costante di tutta la cultura giapponese.

Armati di tutte le necessarie suppellettili, incluse le tipiche scatole quadrate per trasportare il pranzo (bento), con una breve passeggiata siamo arrivati al tempio Ninnaji dove, come intere generazioni di giapponesi, anche noi gaijin ('stranieri') siamo stati ammessi al sacro hanami sotto i ciliegi in fiore.

Per altre informazioni su questo argomento: 
da "L'anima nascosta del Giappone" di Marcella Croce (Marietti ed. Milano 2009)
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Sunday, September 23, 2012

ACERI AUTUNNALI E FIORITURE PRIMAVERILI A KYOTO in concomitanza con VIAGGIO IN GIAPPONE 24 FEBBRAIO ORE 17.30 MUSEO DELLE MARIONETTE

ACERI AUTUNNALI E FIORITURE PRIMAVERILI A KYOTO 

Nel giardino si compendia mirabilmente l'estetica giapponese che si basa su tre parole chiave: sabi, shibui, wabi, le cui rispettive traduzioni nelle lingue occidentali ('severo', 'modesto', 'melanconico') sono prive delle connotazioni altamente positive che esse posseggono in giapponese.Altri concetti fondamentali sono l'armonia totale (wa) tra uomo, natura e universo, il mutuo rispetto e la venerazione che sono necessari nei rapporti umani, il concetto di umiltà personale (kei) verso tutte le cose, la pulizia e l'ordine (sei) che dovrebbero essere sempre presenti in ciò che ci circonda, nei nostri pensieri e nei nostri rapporti con gli altri. Scopo di tutti questi ideali è coltivare una mente calma in un ambiente sereno e riposante (jaku).

L'associazione fra giardino, cerimonia del tè, poesia e religione è fortissima: la parola niwa ('giardino') in origine era usata per indicare un luogo purificato dove adorare gli dei (kami) scintoisti indigeni. I padiglioni per il tè hanno sempre nomi poetici: Kasen-no-ma 'stanza per i poeti maestri', Shoken-den 'sala dove si invitano i saggi', Tekisei-ro 'padiglione per raccogliere le stelle'…

I giardini e tutta la cultura giapponese ruotano intorno al principio del 'cambiamento'; il giardino cambia di continuo adeguandosi alla stagione, e la bellezza effimera delle foglie autunnali si avvicenda con quella delle magnifiche (ma altrettanto effimere) fioriture primaverili. Grazie a una sapiente disposizione strategica delle specie, il giardino ha qualcosa da offrire in ogni parte dell'anno. In nessuna altra parte della terra il ciclo delle stagioni è vissuto con tale trasporto.

Per altre informazioni su questi argomenti:
"L'anima nascosta del Giappone" di Marcella Croce 
Marietti ed. Milano 2009
Questo il 5° appuntamento della serie MERAVIGLIE NATURALI
In questa serie sono stati già pubblicati i post:
Gran Canyon & Monument Valley 1978
Baia di Rio de Janeiro 1996 & 2009-11
Fauna del Pantanal (Brasile) 2010
Cratere del vulcano Stromboli in eruzione 1980
I prossimi post di questa serie saranno: 
Fauna del cratere dello Ngorongoro (Tanzania) 1984
Massiccio Tassili Hoggar (Sahara algerino) 1985
Isole Galapagos (Ecuador) 1995
Cascate di Iguaçu (Brasile & Argentina) 1996
Baia di Halong (Vietnam) 1999 & 2009
Ghiacciaio Perito Moreno (Patagonia argentina) 2012
TUTTI LUOGHI CHE LASCIANO A BOCCA APERTA PERCHE' LA NATURA è (o è stata) AL LAVORO, POTENTE E INDESCRIVIBILE
La lista non è esaustiva né completa, né segue un ordine di bellezza
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Tuesday, September 18, 2012

LA CULTURA ISLAMICA TRA ORIENTE E OCCIDENTE in previsione del 1° incontro della serie SCRITTURE DEL MONDO il 27 gennaio 2014 ore 17.30 presso il Museo delle Marionette Trav. Via Butera Palermo

Negli Stati Uniti chiamano corn belt una larga striscia di territorio americano che è uniformemente coltivata a granoturco. Dalla Bosnia europea fino al Rajastan indiano, si stende abbastanza compatta una grossa fascia per la quale potrebbero essere proposti vari nomi (carpet belt? yogurt belt? turquoise belt?), tutti relativi a una straordinaria cultura cui l'Islam, dall'arte dei tappeti a quella dei tessuti, dagli intarsi alle miniature, dagli smalti alle calligrafie, ha fornito saldo denominatore comune. Legni, stucchi, vetri, bronzi, ottoni: tutti i materiali esistenti sono stati usati, con una netta predilezione per il colore turchese nelle ceramiche. Anche la cultura materiale presenta alcune uniformità particolari: la tradizione dello yogurt ad esempio, usato ovunque in mille modi e ovunque squisito.

Una seconda fascia, sorella gemella (ma non identica) della prima, inizia nella parte meridionale della penisola iberica (Algarve e Andalusia), e attraversando il Marocco e tutto il Maghreb ('l'occidente') nordafricano, si riunisce alla prima in Siria. Non è una monotona monocultura la principale caratteristica di queste strisce lunghe migliaia di chilometri, ma una koiné culturale senza quasi soluzione di continuità, cui l'Iran ha fornito fondamentali contributi, specie nell'architettura. La cupola e l'esedra (eiwan) ne sono i segni più evidenti, l'arco persiano a quattro fuochi il marchio più noto.

Nella sua 'Introduzione alla Storia', opera fondamentale compilata in Marocco, Ibn Kahldun nel 14° secolo affermava che 'le scienze e le arti sono il risultato dell'abilità dell'uomo a pensare, con la quale egli si distingue dagli animali... la tendenza dell'arte alla raffinatezza e la qualità dello scopo perseguito per ottemperare alle richieste di lusso e di ricchezza, corrispondono alla civiltà di una determinata nazione'. Le parole di Kahldun, filosofo e storico al servizio del sultano di Fez, si attagliano perfettamente a tutto il complesso dell'arte islamica e alle sue sofisticate decorazioni. Uno splendido percorso in cui Asia centrale e India del Nord sono le estreme, fondamentali tappe.

Per altre informazioni su questi argomenti:
"Oltre il chador - Iran in bianco in nero" di Marcella Croce
Medusa ed. Milano 2006
1° premio Il Paese delle Donne Roma 2007

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Thursday, September 13, 2012

IL CRATERE DELLO STROMBOLI IN ERUZIONE - MERAVIGLIE NATURALI - 1980


IL CRATERE DELLO STROMBOLI IN ERUZIONE 1980
  
Benedetta, la cameriera dell'hotel l'aveva detto subito: "Io, dassupra? Ecchì c'ha gghiri a fari?",  mostrando come molti locali sano disprezzo e timore riverenziale per Iddu, il gigante che li sovrasta da sempre. Una delle scene più celebri del film Stromboli terra di Dio, che Roberto Rossellini girò con Ingrid Bergman nel 1949, mostra gli isolani, laceri e impoveriti oltre ogni immaginazione, che scrutano atterriti dalle loro barche le tremende ire del vulcano. Le parole di Benedetta bastarono a renderci ancora più curiosi dello Stromboli (dal greco Strongyle "trottola"), il vulcano più attivo d'Europa, noto come "faro del Mediterraneo" fin dai tempi delle prime civiltà che nella preistoria frequentavano assiduamente le isole Eolie in cerca della preziosa ossidiana. Volevamo vedere da vicino con i nostri occhi il responsabile dei continui boati e della sabbia nera che trovavamo ogni mattina depositata sul nostro balconcino. Una sera della lontana estate 1980, piano piano ci siamo inerpicati sui 926 metri del maestoso monte che sprofonda per altri 1700 metri giù in mezzo al mare; eravamo giovani, e ancora lontani erano i giorni in cui sarebbe divenuta obbligatoria la presenza di una guida. Per non scendere al buio attraverso i cosiddetti "sabbioni", avevamo deciso di rimanere lassù tutta la notte, o almeno fino all'alba, dormendo nel sacco a pelo (o meglio cercando di dormire), e poi riscendendo per lo stesso sentiero che costeggia l'imponente Sciara (in arabo "strada") del Fuoco.

In quest'isola straordinaria, dove anche le lucertole sono nere ("esse si so' vulcanizzate" avevamo sentito dire a dei turisti con forte accento napoletano), sembra di vivere un sogno reso ancora più irreale dall'assenza delle macchine; il paesaggio culturale, cioè umanizzato, graffia appena due piccole porzioni del grande cono vulcanico. Nella salita diventava più flebile il rombo del mare, ed erano sempre più piccole le case bianche dell'incantevole villaggio appeso alle pendici del vulcano. Alla luce della luna, gli occhi ancora pieni dei deliziosi giardinetti con le strepitose bouganville, dei sedili con le mattonelle di ceramica, dei pilastri (pilieri) fra le pergole, vedevamo scendere la notte. Oltrepassati i campi abbandonati un tempo fertili delle colture che rendevano l'isola quasi autosufficiente, erano ormai lontanissime le rade luci delle case che a Stromboli sostituiscono l'illuminazione stradale. Una reliquia dei lunghi millenni bui in cui la vita sull'isola non conosceva luce elettrica: Ginostra, aggrappata all'altra parte dell'isola senza averne mai veramente fatto parte, ne è stata priva fino agli anni '60. Solo il faro di Strombolicchio continuava indifferente a marcare il tempo solcando il buio della notte.

Diventavano invece sempre più vicini gli spruzzi di fuoco del cratere, che avevamo avvistato in lontananza dal cosiddetto "osservatorio", fino a quando fummo davanti, anzi leggermente sopra, il cratere dove era in scena l'eruzione, che da Stromboli prende appunto il nome di stromboliana, caratterizzata a intervalli regolari da fontane di lava che raggiungono centinaia di metri di altezza e dal lancio di lapilli e bombe vulcaniche infuocate che ricadono pesantemente nella caldera (vedi foto di Antonio Paulo da Silva jr.). Nel nostro caso, dopo circa un'ora di intenso spettacolo, il vento è mutato, siamo stati circondati da gas e fumo, e non abbiamo visto più nulla. Sotto di noi la terra, continuamente scossa da grandi sussulti, emanava calore. Non tutti gli arditi sono fortunati, nel senso che le condizioni atmosferiche possono all'improvviso mutare e impedire la visione, ma lui, il Signor Vulcano, non manca mai all'appuntamento, il suo dovere ancestrale lo fa sempre, nessun Ente del Turismo del mondo è mai riuscito a orchestrare uno spettacolo così eccezionale e così puntuale. Dopo la chiusura del sentiero per motivi di sicurezza, è stato da qualche anno aperto un  nuovo percorso alternativo, ma uguale è l'emozione di vedere le forze della natura al lavoro a pieno ritmo nel cratere, uno dei pochi luoghi in Europa senza tracce di presenza umana, in inglese si chiama wilderness, parola intraducibile in italiano, forse proprio perché da noi esiste solo qui. 
(pubblicato dalla Repubblica di Palermo il 28 agosto 2012)

In questa serie MERAVIGLIE NATURALI sono stati già pubblicati i post:
Gran Canyon & Monument Valley 1978
Baia di Rio de Janeiro 1996 & 2009-11
Fauna del Pantanal (Brasile) 2010
I prossimi post di questa serie saranno: 
Fauna del cratere dello Ngorongoro (Tanzania) 1984
Massiccio Tassili Hoggar (Sahara algerino) 1985
Isole Galapagos (Ecuador) 1995
Cascate di Iguaçu (Brasile & Argentina) 1996
Baia di Halong (Vietnam) 1999 & 2009
Aceri in autunno e fioriture primaverili a Kyoto (Giappone) 2005-2006 & 2010
Ghiacciaio Perito Moreno (Patagonia argentina) 2012
TUTTI LUOGHI CHE LASCIANO A BOCCA APERTA PERCHE' LA NATURA è (o è stata) AL LAVORO, POTENTE E INDESCRIVIBILE
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